Archeologia

Il Monte Acuto può essere considerato come una delle regioni storiche della Sardegna che presenta maggiori particolarità e - anche per questo - può offrire al visitatore maggiori attrattive.

Descrizione

Il Monte Acuto può essere considerato come una delle regioni storiche della Sardegna che presenta maggiori particolarità e - anche per questo - può offrire al visitatore maggiori attrattive. La presenza delle comunità nel territorio è stata influenzata quindi, fin dalle origini, da aspetti geografici e orografici, a tal punto da condizionare, oltre che le scelte produttive, le opzioni di vita, lo sviluppo delle tradizioni, la dislocazione degli insediamenti. Questa regione, almeno in riferimento ai periodi più antichi, è stata definita "un grande museo a cielo aperto".
Di fronte al visitatore si mostrano, talvolta improvvise alla curva di un sentiero, altre volte troneggianti nell'ampia pianura o in vista dall'alto di uno sperone roccioso, le testimonianze delle civiltà più antiche: dolmens, menhirs, domus de janas, insediamenti nuragici, tombe dei giganti. Passaggio tra le pianure agricole del Logudoro centrale ed orientale e le regioni galluresi poste ad oriente - e in particolare il porto di Olbia, Terranova - o collegamento per quelle più settentrionali, attraverso i corridoi di Castro o di Bisarcio. Più intensa e ricca di esiti è stata la presenza romana (secc. III a.C.-V d.C.) che tante testimonianze ha lasciato in diversi campi, da quello economico, a quello sociale, a quello militare. La fortezza romana di Castro ne è l'esempio più insigne. Anche la presenza bizantina (secc. VI-IX), oggi viene vista sotto un'ottica diversa, più circostanziata, grazie agli scavi archeologici che sono in corso nel territorio e che rivelano un interessamento che si spinge al potenziamento delle fortificazioni e ad opere di infrastruttura come quelle viarie.

Età Nuragica
Di questa civiltà, che abbraccia un ampio spazio temporale compreso fra l’Età del bronzo medio e l’Età del ferro (XVI-VI sec. a.C.), conosciamo nel territorio circa 290 nuraghi o complessi nuragici, con una densità pari a 5,12 per Kmq.
Di questi monumenti, ben mimetizzati nel paesaggio perché costruiti con la pietra locale, individuiamo costruzioni semplici, costituite da un’unica torre a tronco di cono; complesse con l’aggiunta di più torri variamente articolate; miste, con avancorpi inglobati nella roccia, attraversati da corridoi, che costituiscono la base di elevati a tholos.
È una civiltà caratterizzata dall’affermarsi di una "elite" di costruttori, di grandi architetti che piegano questo elemento a tutte le esigenze costruttive, in elevato, in estensione e nelle viscere della terra, inventori e depositari delle leggi che regolano questo atto sacro.
Gli importanti ripostigli di bronzi rinvenuti nel territorio individuano un articolato strumentario, composto di seghe, asce, picconi, cunei, catene, ecc. che potevano agevolare l’estrazione del materiale lapideo e la costruzione di questi monumenti mediante l’utilizzo di impalcature lignee e di macchine semplici per il sollevamento e posizionamento dei massi.
I nuraghi si dispongono ai bordi degli altopiani, in zone pedemontane intorno alla pianura, lungo il corso dei fiumi, con particolari concentrazioni su opposte sponde, intorno ad un’area mineraria. Si evidenzia una strategia di insediamento di una società complessa e stratificata, volta al controllo delle vie di comunicazione e delle aree produttive, con il nuraghe, dimora e sede del potere, il villaggio, centro abitato in cui si esercitano le attività produttive, e con le aree sacro-sepolcrali e sacre nettamente distinte.

Le sepolture
Le aree sacro-sepolcrali sono costituite dalle tombe di giganti, indicate così dalla fantasia popolare per la grandezza delle strutture, e talvolta in ambiente granitico dalle tombe in tafone, cavità naturali chiuse da muretti.
Le tombe di giganti, in numero da uno a quattro, sono distanti dal nuraghe e afferiscono talvolta a più monumenti. Le tombe più antiche presentano una struttura megalitica, evidente sia nella camera sepolcrale sia nei bracci che definiscono lo spazio semicircolare ai lati dell’ingresso (esedra) sia infine nel muro che recinge l’area come un confine sacro.
L’ingresso alla camera è chiuso da una lastra rettangolare superiormente convessa, scorniciata nel contorno e traversata da un listello in rilievo (stele centinata) con alla base una piccola apertura arcuata. Questa ha i precedenti cultuali nella "falsa-porta" degli ipogei neo-eneolitici ad indicare l’ingresso al mondo dei morti e formali nella lastra di chiusura del dolmen di Sa Coveccada di Mores. Particolare interesse rivestono la stele della tomba di giganti di Luzzanas, esposta nel museo di Ozieri, che reca i segni dei culti ipogeici e megalitici e la tomba di Malacarruca di Alà dei Sardi che accanto ad arcaici elementi strutturali conserva una cassettina litica per offerte, scavata nel braccio dell’esedra.
Le tombe più recenti, costruite con pietre disposte a filari di tecnica nuragica, presentano sopra l’ingresso un concio trapezoidale con tre cavità destinate ad accogliere tre betilini conici di carattere cultuale, ma di oscuro significato.
Le fonti tardo - antiche riferiscono che negli spazi antistanti queste tombe si svolgevano riti per propiziare la salute e la fecondità.

Gli edifici di culto
Le fonti tardo-antiche riferiscono di pratiche religiose legate al culto delle acque che si svolgevano nei santuari in particolari circostanze con grande partecipazione degli antichi Sardi.
Tali culti sono documentati nel territorio del Monte Acuto dal rinvenimento di bronzi votivi effettuati nei pozzi o fonti, costruiti nel nuraghe o nelle immediate vicinanze oppure inseriti, in aree elevate, in complessi architettonici di valenza sacra. Sono costruzioni realizzate con un’accurata tecnica costruttiva in pietra anche di diverso colore, in cui erano inseriti talvolta elementi architettonici anche zoomorfi e lunghe spade votive di bronzo a coronamento del tetto.
Si individuano "rotonde", piccoli ambienti circolari con panchina e bacile in pietra al centro, talvolta inseriti in isolati articolati in più vani; fonti di struttura circolare o trapezoidale precedute da un atrio e/o vestibolo percorso da una canaletta; pozzi circolari raggiungibili mediante scale con atri/vestiboli panchinati attraversati da canaletta; sacello circolare con testa taurin inserita nella struttura.
L’area sacra di Sos Nurattolos di Alà dei Sardi, posta a 1000 m di altezza, mostra un singolare percorso rituale che va dalla sorgente di acqua perenne, dove forse avvenivano particolari cerimonie purificatorie, alla capanna con atrio e quindi al tempietto rettangolare, situato in posizione dominante, con a lato un ambiente per deporre gli exvoto.
I rituali dovevano essere rivolti ad una divinità ctonia, che dalle viscere della terra dispensava la vita, a cui si rivolgevano i devoti per invocare fertilità e salute nel corso di festività annuali.

Età Neolitica
Il territorio del Monte Acuto, caratterizzato da una piana alluvionale solcata dalla vasta rete idrografica del rio Mannu-Coghinas e collegata ai naturali sbocchi al mare, è stato frequentato dall’uomo fin da età remota. Sono noti finora almeno 400 insediamenti preistorici, documentati da ritrovamenti ceramici e litici provenienti da siti all’aperto, dalle grotte, dagli ipogei sepolcrali che, scavati nella roccia dall’uomo, costituiscono un importante indicatore indiretto di uno stanziamento umano.

L'insediamento preistorico
La distribuzione geografica dei ritrovamenti e soprattutto degli ipogei ha condotto alla individuazione di particolari scelte d’insediamento. I nuclei insediativi, costituiti da più siti vicini fra loro, ma dispersi sul territorio, sono di tipo accentrato nelle aree calcaree e si concentrano in zone prospicienti le pianure solcate dai corsi d’acqua, in particolare presso quelli maggiori, lungo le cui direttrici si allungano, mentre si rarefanno nelle zone pedemontane granitiche della Gallura, dove la presenza dei tafoni creava dei ripari che potevano essere utilizzati come abitazione.
Si tratta di insediamenti in grotta e all’aperto di comunità stanziate stabilmente in aree permissive per l’insorgenza dell’economia produttiva, basata sull’agricoltura e l’allevamento, mentre il fiume costituiva altresì il mezzo di diffusione di prodotti e di idee. Sono note nel territorio grotte e ripari, che possono aver avuto un utilizzo abitativo per le caratteristiche morfologiche e per la tipologia dei materiali rinvenuti, e resti di strutture in pietra di capanne a pianta circolare e quadrangolare, tutte da approfondire. Le caratteristiche degli abitati sono tuttavia meglio identificabili nelle architetture scavate negli ipogei funerari che riproducono la casa dei viventi per motivi legati a profonde convinzioni religiose. Attraverso questa documentazione possiamo individuare, pur tenendo conto delle modificazioni e riutilizzazioni avvenute fino in tempi recenti, un tipo di abitazione circolare ed uno rettangolare, con ambienti generalmente disposti in successione, oppure a sviluppo centripeto, cruciforme o a "T" su un vano di disimpegno, che documentano l’esistenza di un progetto architettonico che presiedeva alla costruzione della casa. Compaiono inoltre elementi architettonici quali gli zoccoli, i travi di angolo, il trave di colmo del tetto, il soffitto spiovente, la porta con architrave, stipiti, incastri e scorniciature per la chiusura, il focolare circolare al centro dell’ambiente, i gradini di ingresso, i porticati esterni. Si configurano abitazioni semplici anche con un solo ambiente rispetto a case articolate in più vani con implicazioni connesse a un diverso status sociale dei componenti la comunità, e a tempi diversi di costruzione.
Si evidenziano vari tipi di abitazione che documentano l’importanza che aveva la casa per queste comunità sedentarie, ma anche i cambiamenti che questa subiva nel tempo a seguito dei mutamenti di cultura.

Il mondo del sacro e della morte
Questo suggestivo aspetto delle culture neolitiche è particolarmente significativo in questo territorio.
A profonde motivazioni religiose risponde l’escavazione nelle rocce calcaree, trachitiche e granitiche dei numerosi ipogei che punteggiano anche questo territorio. Chiamate dal popolo spesso "domus de janas" - "case delle fate o delle streghe", secondo l’immaginario collettivo - documentano l’impegno della comunità di assicurare al defunto la rinascita deponendolo nel grembo della terra.
Queste riproducono la casa e sono decorate con i simboli della rinascita, scolpiti, incisi o dipinti: le corna e le protomi che rimandano al toro, emblema della forza e della fecondità; la "falsa porta", che indica il passaggio al mondo ultraterreno; la pittura rossa, simbolo del sangue e della fertilità.
All’interno di alcuni ipogei, posti in posizione eminente, e che presentano elementi riconducibili alla sfera cultuale si svolgevano forse complessi rituali. Erano forse le sepolture di capi-sciamani che esercitavano un potere politico - religioso e godevano di prestigio presso la comunità.
Particolari tecnico - architettonici presenti negli ipogei inclinano a ritenere che vi fossero maestranze specializzate attive in più insediamenti di questo territorio.

L'età del rame
Nel territorio del Monte Acuto è nota la presenza di giacimenti metalliferi, principalmente di rame. Scarsi sono tuttavia gli elementi, soprattutto scorie di fusione, che documentano la pratica dell’attività metallurgica nella fase più antica dell’Età dei metalli, nota come Età del rame o calcolitico (III millennio a.C.). Le testimonianze monumentali di questa età a noi pervenute, muraglie, dolmen e menhir (in bretone rispettivamente "pietra-tavola" e "pietra fitta"), rientrano in quel vasto movimento culturale, caratterizzato da costruzioni a grandi massi, e perciò detto megalitismo, che coinvolge l’Europa da occidente ad oriente e non solo.
Di queste popolazioni bellicose, di cui ci sono note armi in pietra dette asce-martello provenienti dai territori di Ozieri e di Berchidda, conosciamo solo indirettamente gli insediamenti che ricalcano solo in parte gli abitati precedenti.
Questi sono concentrati in aree elevate, talvolta fortificati e collegati con vie di transumanza, note fino ai giorni nostri, che costituiscono pertanto le preesistenze dei percorsi protostorici e storici. Anche le abitazioni ci sono note da scarsi resti di strutture absidate, dai ripari sotto-roccia nelle aree granitiche, dai sepolcri che imitano la casa: ipogei a pianta rettangolare, preceduti da lunghi corridoi, anche costruiti con lastroni, e dolmen a pianta rettangolare con lastrone di copertura piano, raramente a doppio spiovente, e a pianta circolare.
Queste varie tipologie sono forse indicative di momenti cronologici e di influssi culturali diversi giunti in questo territorio, che fa da cerniera fra a Gallura, il Marghine e il Dorgalese, dove il megalitismo è molto diffuso.

Religione megalitica
Di queste popolazioni a prevalente economia pastorale sono note soprattutto aree sacro-sepolcrali, che occupano luoghi alti, vere e proprie montagne sacre in cui si evidenzia uno stretto rapporto con la natura e in cui a fatica si distingue la mano dell’uomo.
Compaiono muraglie che recingono come un limes religioso l’area sacra, penetrabili solo attraverso passaggi obbligati, che sovrasta orridi dirupi. All’interno si configurano circoli megalitici o si snodano percorsi rituali di oscuro significato segnati da menhir in allineamento, in coppia, in raggruppamento, da rocce a nicchie e a coppelle che conducono a sepolcri dolmenici venerati.
Sui lastroni di copertura di questi compaiono sia all’interno che all’esterno, ma anche talvolta sulla parete, caratteristiche coppelle, testimonianza forse di una religione cosmica praticata da queste popolazioni pastorali abituate a seguire gli astri nel loro vagare al seguito delle greggi.
Lungo questi sentieri della transumanza, indicati spesso dai menhir, si trovano i ripari istoriati in cui compaiono i segni dei loro rituali: antropomorfi itifallici dipinti con ocra rossa, che attendono a danze orgiastiche, forse propiziatorie della fecondità, nel riparo di Luzzanas di Ozieri; particolari formazioni granitiche circondate da una larga solcatura verdastra, motivi che possono essere assimilati a coppelle al positivo, forse riferibili a simbologie cosmiche, nel riparo di Punta IsteddÏ, in una frazione di Buddusò.

Età Romana
Intensa e ricca è stata la presenza romana (secc. III a.C.-V d.C.) che tante testimonianze ha lasciato in diversi campi, da quello economico, a quello sociale, a quello militare. La fortezza romana di Castro ne è l’esempio più insigne.


Gli insediamenti di età romana
Se si escludono Luguido, Hafa e Caput Tyrsi, centri legati alla viabilità, ossia semplici stationes (stazioni con locande e stalle per il ricovero dei cavalli), e almeno nel primo caso ad uno stanziamento militare, ma che comunque erano di dimensioni assai ridotte, nel Monte Acuto dovevano esistere solamente piccolissimi insediamenti, legati allo sfruttamento agrario del territorio. Non si conosce l’esistenza di ville rustiche, che comunque dobbiamo immaginare presenti almeno nelle regioni più fertili, quelle pianeggianti adatte ad un intenso sfruttamento cerealicolo. Piccole necropoli, individuate in diversi siti, sono certamente da porre in relazione a questi microinsediamenti, talvolta legati a nuclei monofamiliari, e alla stessa dinamica insediativa può legarsi il riutilizzo dei nuraghi, evidenziato in più casi dal ritrovamento di materiali di età romana e altomedievale. Al di là dell’insediamento rurale e delle stationes stradali dovevano essere ampiamente sviluppate le forme di stanziamento vicaniche di tradizione protostorica. La documentazione epigrafica specifica la localizzazione nel territorio di Monti e, certamente, nelle aree prossime del popolo dei Balari, ricordato tra i celeberrimi populi (le popolazioni più note) della Sardinia da Plinio il Vecchio nel I sec. d.C. oltreché da Sallustio e da Livio. Il confine antichissimo tra il populus dei Balari e l’ager olbiense (il territorio di Olbia) lungo il rio Scorra Oe è attestato da un’iscrizione rupestre incisa su un macigno di granito che sorge nel letto del fiume. Il testo documenta la disposizione, stabilita dal Prefetto della Sardinia, agli inizi del I sec. d.C., di porre i termini (ossia i cippi di confine) che delimitassero il territorio dei Balari, affinché l’indomita tribù sarda non sconfinasse.

La viabilità romana
Fonti di diverso genere testimoniano come in età romana la Sardegna nord-orientale fosse percorsa da una fitta rete di strade, che collegavano tra loro i vari insediamenti ubicati in questa porzione territoriale e gli altri centri abitati dell’Isola.Una delle vie principali si dirigeva verso Olbia, deviando dall’asse di collegamento tra Carales (Cagliari) e Turris (Porto Torres); le fonti scritte indicano che questa attraversava i centri di Hafa, localizzata presso Mores, e Luguido, in prossimità di Castro di Oschiri, ma il suo tracciato è meglio precisato dalle fonti archeologiche ed epigrafiche. Queste ultime sono rappresentate dai cippi in pietra in cui erano incise le miglia di distanza dalla località di partenza, Olbia o Carales, insieme ad altre indicazioni. Dopo i miliari rinvenuti nei territorio di Mores, la prima testimonianza monumentale è rappresentata dal Ponte Ezzu, ubicato al confine tra le campagne di Mores e Ittireddu, in località Isola di Don Gavino.
Del ponte, che cavalcava il Riu Mannu, rimangono oggi solamente due delle tre arcate originarie, di differenti dimensioni. Il ponte era costruito in opera cementizia, con un rivestimento in blocchi squadrati di basalto nero. Presso le fondazioni sono ancora visibili i rostri frangicorrente, mentre è completamente scomparsa la parte superiore del ponte con il coronamento e il parapetto.
La strada attraversava successivamente il territorio di Ozieri, come attesta ancora il ritrovamento di miliari e altri significativi monumenti: il ponte di Iscia Ulumu in regione San Luca, il Pont’Ezzu in località Punta di Navole e il ponte di Badu Sa Femina Manna. Del primo rimangono solo le strutture di fondazione dei piloni, mentre ben conservato, grazie anche ai numerosi restauri e alla continuità d’uso, è il Pont’Ezzu sul Rio Mannu; il ponte, lungo oltre 90 metri con sei arcate decrescenti, ha un paramento murario in conci squadrati, che rivestono un conglomerato cementizio. A sei arcate era anche il terzo ponte, del quale si conservano solamente le pile in conglomerato cementizio rivestito da blocchi trachitici. Raggiunta Luguido presso Santa Maria di Castro, a pochi chilometri da Oschiri, dove tra l’altro fino a pochi decenni orsono potevano ancora scorgersi i resti di un altro ponte, la via proseguiva attraversando le campagne di Berchidda e Telti, come attestano altri miliari, per giungere finalmente ad Olbia. Nei territori oggi del Monte Acuto passava anche un’altra importante via, che collegava Carales a Olbia attraversando le impervie regioni montuose delle Barbagie.
Una delle stazioni nominate dalle fonti è Caput Tyrsi, le "sorgenti del fiume Tirso", localizzabile con probabilità in località Sos Muros di Buddusò. Forse la via, presso Luguido, si ricongiungeva all’altra strada di cui si è precedentemente parlato. A questi assi viari principali dovevano aggiungersi altre strade secondarie, come quella di cui rimane traccia in località Badu’e Crasta, nelle campagne di Pattada, dove si osserva un tratto della strada romana in cui sono evidenti i solchi dei carri.

Da Luguido a Castro
La stazione di Luguido, trovandosi presso un importante snodo viario, dovette avere un carattere spiccatamente militare; la sua posizione strategica consentiva infatti di controllare da una parte la strada che collegava Olbia con gli altri importanti centri dell’Isola, primo fra tutti Carales (Cagliari), dall’altra il percorso che, aggirando ad ovest i monti del Limbara, raggiungeva Gemellae (Tempio Pausania o più probabilmente Perfugas) e successivamente la costa settentrionale presso Tibula (Santa Teresa di Gallura o Castelsardo).
Il ruolo di Luguido come centro militare è testimoniato dai rinvenimenti epigrafici, che attestano lo stanziamento nel I secolo d.C. di un reparto della Cohors III Aquitanorum, una truppa militare composta da Aquitani, a cui forse succedette un altro distaccamento formato da Sardi (la Cohors I Sardorum).
Tale ruolo non dovette cessare nei secoli successivi, e durò almeno fino all’alto medioevo; secondo alcuni il centro si identifica con i Castra Felicia, citati da un geografo di età bizantina, l’Anonimo Ravennate.
Oltre alle testimonianze epigrafiche, dell’importante centro militare rimangono resti di strutture fortificate sul colle di San Simeone presso Oschiri, dove in sommità si osservano evidenti tracce di mura in opera a telaio, ossia con piedritti alternati a tratti murari in piccole pietre e malta; il circuito fortificato, che cinge tutta la sommità del colle, ingloba al suo interno cisterne e altri edifici.
Nel lato verso est, dove presumibilmente passava la via romana, era posta per una migliore difesa una triplice cinta muraria, ancora visibile alla metà del XIX secolo. Ancora nel pieno medioevo la diocesi che aveva la sua cattedrale presso la vicina chiesa di Santa Maria, a circa un chilometro a nord del colle fortificato, ricorda col nome di Castro l’antica funzione militare del centro.
Le tracce del Cristianesimo dei primi secoli
Nei primi secoli la diffusione del Cristianesimo, partendo dai centri urbani quasi esclusivamente ubicati sulle coste, si diffuse nei territori interni dell’Isola passando per le più importanti vie di comunicazione. Ciò dovette verificarsi anche nel territorio in esame, dove i luoghi di culto attualmente conosciuti sono legati a strutture ipogee, probabilmente da mettere in relazione con il fenomeno del monachesimo di tipo orientale, eremitico o più probabilmente organizzato in laure. Questi insediamenti monastici erano composti da piccole celle sparse ma non distanti tra loro, nelle quali i monaci vivevano in eremitaggio per gran parte del tempo, pur facendo riferimento a luoghi di culto comuni.
È soprattutto nel Monte Santo, ricco di anfratti naturali e di ipogei artificiali di età preistorica, che il fenomeno sembra attestarsi con particolare evidenza; lo stesso nome dato al monte sottolinea il particolare carattere "sacro" del territorio, che nel pieno medioevo verrà occupato da insediamenti monastici di regola benedettina.
Il monumento più interessante è senza dubbio Su Crastu de Santu Eliseu (la roccia di Sant’Eliseo), un grosso masso sito ai piedi del Monte Santo, entro il quale è stata ricavata una serie articolata di ambienti: un vano di ingresso trapezoidale, con incavi e ripiani di varia dimensione, da cui si accede ad un ampio vano centrale, sempre trapezoidale, al centro del quale è scavato un bacile, un ambiente di piccole dimensioni, con una piccola finestra e un altro vano quadrangolare. Entro quest’ultimo, illuminato da una finestra, sono ricavati nella roccia sedili e altri piani, forse semplici giacigli. In un ambiente alcuni simboli cristiani incisi nella roccia sembrano suggerire una funzione abitativa, mentre secondo altre ipotesi gli elementi strutturali indicano per il monumento una funzione culturale, comunque legata alla presenza di monaci. Allo stesso utilizzo possano riferirsi anche S’Istampa ’e Sas Fadas e S’Istampa ’e Santu Marcu. Quest’ultima è una grotta (istampa nel dialetto locale) raggiungibile da una terrazza naturale situata sul Monte Lachesos, preceduta da un corridoio gradato. La grotta, evidentemente artificiale almeno in parte, ha pianta circolare ampliata in forma ellittica da un sedile, sul quale si apre un ampio nicchione, in asse con l’ingresso. Come Su Crastu de Santu Eliseu, anche questo ipogeo potrebbe essere collegato alla presenza di monaci eremiti.

Pagina aggiornata il 15/12/2023